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Lo psicologo è per i matti

  • Immagine del redattore: Ilaria Congedo
    Ilaria Congedo
  • 10 mar 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Frequentemente mi capita di sentire questa frase pronunciata con leggerezza e convinzione, altrettanto spesso mi accorgo che a colpirmi non è tanto il concetto in sé quanto l'uso che se ne fa.


L'immagine del matto è quanto di più pericoloso e preoccupante si possa pensare, è quanto di più spaventoso si possa immaginare come rappresentazione di se stessi. Chiunque si sforza di mostrare il proprio funzionamento sano, non malato, non depresso, sufficientemente differenziato dalla condizione del matto.

Lo scopo della vita non è essere dalla parte della maggioranza, ma evitare di trovarsi nelle file dei pazzi. Marco Aurelio

Entrando in quest'ottica diventa molto complesso potersi riconoscere dei bisogni; è complesso superare il timore o forse la vergogna anche quando si vive un periodo di forte stress, di conflittualità, di ansia, di difficoltà nel dover fronteggiare micro-traumi, lutti, separazioni, fobie, difficoltà relazionali o sessuali.

Se lo psicologo si occupa dei matti c’è il rischio che non ci sia spazio per condizioni “meno gravi" di cui bisogna - nella migliore delle ipotesi - occuparsene da soli.


Dobbiamo fare i conti con l’idea che la mente può "ammalarsi" poco o tanto, in maniera transitoria o ingravescente. Le situazioni di impasse possono essere varie e molte di esse non hanno a che vedere con la malattia mentale conclamata.


La mente è uno strumento prezioso e bisogna sforzarsi di riconoscergli l'importanza che merita riservandogli la giusta attenzione anche rivolgendosi ad uno psicologo.

Tutti noi, e molto spesso, siamo quasi uguali ai matti, ma c'è una piccola differenza: i "malati" sono un po' più matti di noi, perciò qui bisogna tracciare una linea di confine. Ma di persone perfettamente equilibrate, in verità, non ce n'è quasi nessuna; su varie decine e forse anche su molte centinaia di migliaia se ne trova una, e, per di più, questi esemplari non provano gran che. Fëdor Michajlovič Dostoevskij
 
 
 

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